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Attitudine n.0: la forma non esiste

Updated: Jun 4, 2023


Cos'è un asana? Asana, (singolare maschile) dal sanscrito "as", sedere, star seduti (tra i tanti significati che il sanscrito offre :-)), è il termine con cui, nei testi di Yoga moderno, viene definito un particolare atteggiamento posturale, una posizione da far assumere al corpo per ottenere non ben identificati benefici.

Ed è diventata nella pratica dello Yoga moderno praticamente un sinonimo di Hatha Yoga, se non addirittura dello Yoga stesso nella sua accezione più ampia.

E l'identificazione della pratica Yoga con il lavoro posturale degli asana ha portato a considerare le forme che il corpo assume, presentate ormai in maniera martellante in riviste e libri di Yoga, nei video didattici di YouTube, negli ormai onnipresenti post di Instagram, come pure ormai nell'immaginario collettivo, come l'obiettivo stesso del lavoro yogico.

Ma se così fosse, se questo fosse stato il vero intento dei sadhu (gli asceti che fin dall'antichità, appartandosi dalla vita "mondana", hanno esplorato le profondità dell'essere umano attraverso l'esperienza) e che hanno trasmesso, attraverso i secoli, da bocca ad orecchio (trasmissione orale) questa conoscenza, dove sarebbe la differenza con le infinite altre pratiche fisiche che hanno popolato il mondo da allora fino ad oggi? Evidentemente ci sfugge qualcosa.

Nella prima formulazione strutturata del percorso yogico, da parte di Patanjali nel II secolo D.C., asana è qualcosa che va vissuto nella stabilità e nella piacevolezza , rilassando lo "sforzo" e abbandonandosi all'infinito (Pat. II,47-48). Come potremo mai soddisfare tali indicazioni ponendo una forma esteriore (quella esibita nella foto, nel video, nel libro, dall'insegnante, ...) come obiettivo della nostra pratica? Ogni corpo è diverso per conformazione anatomica, esperienze vissute,positive o negative che siano ... come si può chiedere a "qualunque" corpo di assumere un'unica postura?

Inesorabilmente questo approccio, che appartiene al nostro quotidiano fatto di obiettivi da realizzare e da successi da raccogliere, porterà dentro di noi le stesse tensioni e frustrazioni che il quotidiano ci offre.

Difatti, laddove c'è un obiettivo, due sono le possibilità:

  • la prima, semplificando, è il non riuscire a raggiungere la postura desiderata, nel qual caso dentro di noi subentrerà la delusione, lo sgomento, la denigrazione del proprio corpo, in definitiva il conflitto, la separazione tra una mente che desidera, dispone, comanda ed un corpo che non sempre esegue come vorremmo.

  • la seconda è il riuscire a raggiungere la posizione desiderata, nel qual caso subentra in noi l'orgoglio di avercela fatta ( magari a dispetto di chi, vicino a noi e con più pratica alle spalle, non ha ottenuto lo stesso risultato). Orgoglio che inesorabilmente uscirà ferito quando, per nostri limiti anatomici o semplicemente perché il nostro corpo è in perenne trasformazione, toccherà a noi non raggiungere l'obiettivo. Magari, se siamo fortunati e il nostro corpo ce lo consente, riusciremo a compiere tutte quelle magiche contorsioni per anni, ma prima o poi il tempo chiederà il suo tributo e allora cosa facciamo? Termina per noi lo Yoga?Magari allora ci ripareremo dietro al lavoro respiratorio, il Pranayama, apparentemente più accessibile, ma se manterremo lo stesso approccio.... dove arriveremo?

Ascoltare il corpo accompagnandolo nella direzione indicata dal asana, immergere la nostra attenzione ( o forse dovrei dire coscienza?) nell'ascolto e riconoscere che esiste una distanza tra la posizione immaginata nella nostra mente e quella che il nostro corpo riesce ad assumere, stabilmente e confortevolmente nell'immobilità che può nascere solo da questa serenità, e accettare profondamente che sia così, senza chiedere o prendere qualcosa che non ci appartiene.

Rimanere nell'ascolto delle sensazioni che il corpo ci invia, qualunque posizione abbia, permettendo alla mente di rimanere a contatto con il presente del nostro corpo.

Per me è questo il senso del lavoro corporeo. L'alternativa è la perenne reazione a ciò che c'è, ma questa è un'altra storia.


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