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Attitudine n.2: dalla periferia al Centro e ritorno (1 di 2)

Updated: May 8, 2020


Quando agiamo nel mondo, nel quotidiano affannarsi, quali parti del nostro corpo utilizziamo al massimo della loro capacità? Usiamo le mani, per prendere, afferrare, accarezzare, toccare, oppure i piedi per avvicinarci ed allontanarci, per giocare o colpire. E usiamo anche la testa, con la bocca per parlare e le orecchie per ascoltare, il naso per odorare e gli occhi per vedere. E pure l'area genitale, per quanto celata allo sguardo, ci mette in relazione con il mondo fuori di noi. Usiamo le estremità, le parti più esterne del nostro corpo, la nostra "periferia".


Ma la "periferia" sottintende l'esistenza di un "centro".


Ma cos'è il nostro "centro"? E' ciò da cui il movimento ha inizio. E' ciò che, immobile, osserva tutto ciò che gli ruota attorno. Infatti, senza questo centro immobile, cos'è il movimento? E poi, movimento rispetto a cosa? A qualcosa di fuori di noi? E cosa ci sarà mai di così fondamentale "fuori" di noi, così potente da costringerci all'azione? Un obiettivo fisico? Economico? Una relazione? Un desiderio? Molto spesso infatti succede così.

... e quando abbiamo raggiunto questo riferimento esterno a noi? Ne nasce subito un nuovo che ci rimette in moto. Questo se tutto va bene, altrimenti sperimentiamo la sofferenza, il disagio della distanza tra noi e questi riferimento esterno....Sofferenza, dukha. Alterneremo quindi inevitabilmente una serie di brevi attimi di pace seguiti da lunghi periodi di tensione, frustrazione e inadeguatezza, uniti a competizione e confronto con chi, vicino a noi, magari sta viaggiando verso lo stesso riferimento.

E ogni nuovo riferimento che ci creiamo fuori di noi potrà portarci ogni volta a cambiare direzione, correndo il serio rischio di non sapere più da che parte stiamo andando. Più di una volta, nella mia pur breve avventura nell'insegnamento dello Yoga, ho incontrato persone che, pur nella agiatezza materiale, si sono avvicinate allo Yoga perché hanno "intuito" dentro di loro di essersi perse vagando da un riferimento ad un altro e di non avere idea di come uscirne...


Che alternative abbiamo?

Lo Yoga suggerisce di cercare il riferimento "dentro" di noi e non fuori. Il viaggio sarà lungo, all'inizio neppure sapremo riconoscere la direzione, non avendo a volte neppure idea di dove questo "centro" si collochi nel nostro sconosciuto mondo interiore. Ma, dopo i primi tentativi (e, per essere onesti, non sarà sufficiente una sola lezione di prova fatta poco convinti o addirittura già scettici in partenza) il nostro viaggio avrà una direzione stabile, costante e che potrà durare un'intera esistenza e già questo è garanzia che la nostra trasformazione a un certo punto arriverà... e ci scopriremo cambiati . Nel tempo il nostro camminare verso, diventerà via via più evidente tanto a noi stessi quanto a chi ci è vicino. Certo, siamo lontanissimi dall'atteggiamento dominante del "lavoro-guadagno-pago-pretendo" di Zampettiana memoria (alzi la mano chi se lo ricorda :-)). Ma, come dice la Bhagavad Gita II,40, ogni passo intenzionale nella direzione del Centro, anche se piccolo, non sarà mai sprecato.....


Ma come conoscere questo Centro e prenderne consapevolezza grazie all'Hatha Yoga?

Il nostro corpo fisico ha un centro tutto suo, il baricentro... chi se lo ricorda, dai tempi della scuola? Ogni posizione (asana) che assumiamo sposta questo centro, creando in noi tensione o piacevolezza a seconda di dove lo posizioniamo nel nostro lavoro statico. L'ascolto delle sensazioni legate a questa dinamica "grossolana" e materiale ci permette di scoprire che esiste per ciascuno di noi una personalissima forma corporea nella quale la nostra interiorità si rasserena. Ed in quella particolare forma anche il respiro e il mentale si tranquillizzano....Nasce così spontaneamente una immobilità che non appartiene alla volontà, ma ad un primo, sebbene superficiale, raggiungimento del Centro. E una volta che si è nel centro, nessuna altra direzione ha più senso, si smette progressivamente di agire (la mano non tira, il piede non spinge, la mente non cerca e non offre azioni, ...) permettendo così al asana di manifestarsi: "sthira" e "sukha" (Yoga Sutra II,46), stabile e confortevole, nel rilassamento dello "sforzo" (prayatna shaitilya) e abbandonando la mente nella contemplazione dell"Infinito (ananta samapatti) (Yoga Sutra II,47), il che vuol dire immergerci nell'ascolto della pienezza del corpo nella posizione che esso ci consente qui-ed-ora, rinunciando a dirigere continuamente la nostra attenzione da una parte all'altra del corpo ( il tendine che tira, il muscolo contratto, l'articolazione sollecitata, ... riferimenti esterni sempre diversi che ci tengono nel movimento), passando dall'ascolto del "dettaglio" locale ad una più ampia "intuizione globale" dell'intero nostro corpo.

E questo cambio di atteggiamento dal "locale" al "globale" avviene perché (Yoga Sutra II,48) una volta nel Centro gli opposti si annullano: non c'è più CONTRAZIONE che devi RILASSARE ma neppure una parte RILASSATA da CONTRARRE, non c'é più SPINTA IN SU' che devi lasciar CADERE IN GIU' , non c'é più DESTRA né SINISTRA, AVANTI o INDIETRO, ...

Nel Centro non rimane cioè più nulla da "fare", rimane solo "essere".

(Continua...)

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