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Attitudine n.3: Che farcene delle sensazioni?

Updated: May 8, 2020





L'essere umano da sempre si nutre di sensazioni. E' nella nostra fisiologia, siamo fatti così: dotati di ingressi sensoriali (jnana indriyas, le sensazioni) che portano l'intero mondo dentro di noi, per poi interagire in qualche maniera con questo mondo diventato "interiore" (le percezioni), attraverso processi mentali che inevitabilmente si riflettono, attraverso le nostre azioni (karma indriyas, le azioni), nel mondo esteriore, "oggettivo".


L'uomo moderno ha fatto della "ricerca di sensazioni" addirittura una ragione di vita: i cibi più gustosi, i profumi più inebrianti, i colori e le immagini più vivaci e frenetiche, i panorami più esotici e le esperienze fisiche più estreme sono molto spesso la ragione stessa del nostro tempo "libero", quello nel quale, almeno apparentemente, siamo ancora (ma lo siamo veramente?) in grado di scegliere ciò che ci realizza, ciò che rende la nostra esistenza degna di essere vissuta.


Esagero? Forse sì, ma il principio di fondo resta valido, non possiamo esimerci dal percepire il mondo in cui siamo immersi fino al collo. Ed allora, che farcene di tutte queste sensazioni che, sempre più intense e frequenti, intasano il nostro quotidiano? Privi di consapevolezza, queste sensazioni alimentano semplicemente i meccanismi impliciti del nostro essere "umani", soddisfano le nostre pulsioni più materiali, portandoci nel tempo a costruire e poi cristallizzare la nostra auto-immagine, ossia quell'insieme di attributi con i quali, a lungo andare, ci identifichiamo. Alla domanda: "E tu chi sei ?" noi invariabilmente rispondiamo elencando tutta la serie infinita di categorie che sono semplicemente il risultato di esperienze sensoriali che hanno trovato casa in noi: "Io sono Federico", un'etichetta, un nome che ho sentito fin da piccolo come associato alla mia persona, ".. un ingegnere...", il risultato di esperienze sensoriali di giorni e giorni a contatto con conoscenze visive ed uditive chiamate "Università", " ...un amante dei fumetti...", frutto delle mie letture da ragazzo, " ... un padre...", categoria spesso risultato, tra le infinite esperienze, di pianti notturni ma anche di soddisfazioni paterne. E via descrivendo così tutte le nostre avversioni, preferenze politiche, piatti preferiti, musica, scrittori, squadra di calcio, ...


Questo è il destino delle sensazioni, quando lasciate libere di nutrire la parte più umana del nostro essere. Ma non è detto che debba essere tutto qui. Se fosse così, le sensazioni potrebbero essere considerate la causa scatenante della nostra schiavitù, del nostro identificarci con la nostra auto-immagine a tal punto da non riuscire ad abbandonarla quando la vita ce lo chiede: il lavoro può cambiare, i figli crescono e lasciano casa, il corpo cambia le sue esigenze, le relazioni finiscono, cambiano... Ed il disagio, se non addirittura la vera e propria sofferenza si insinua nel nostro quotidiano.


E se le sensazioni avessero anche un'altra valenza, un'altra possibilità, un nuovo senso?


Lo Yoga, ed in particolare l'Hatha Yoga, hanno esplorato proprio questa possibilità e hanno scoperto (non inventato, ma scoperto in maniera esperienziale, sperimentando in prima persona, attraverso le vite di moltissimi yogi (coloro che hanno fatto dello Yoga lo strumento principale della loro ricerca) che nel corso dei secoli si sono succeduti in questo percorso di ricerca) che le sensazioni, con il loro mondo parallelo fatto di emozioni, possono essere la chiave per nutrire, coltivare, sviluppare anche l'altro lato del nostro essere umani: il nostro "Essere", la consapevolezza di "esistere" al di la di tutto, aldilà del nostro passato e del nostro possibile futuro. Per coltivare la nostra Coscienza.


Ecco che allora le sensazioni, nella pratica Yoga, non sono più abbandonate a loro stesse ma diventano il supporto per tutto il nostro mondo interiore. La loro osservazione in ogni istante, ovunque si manifestino, durante la pratica di tecniche Yoga quali ad esempio asana, pranayama, mantra, mudra, diventa lo strumento tramite il quale la nostra Coscienza si esercita ad abbandonare lo stato intorpidito nel quale normalmente si trova, per espandersi, muoversi, posarsi e avvolgere l'intero nostro corpo materiale e riscoprire l'intera dimensione materiale della nostra esistenza, non solo quella più grossolana del corpo anatomico quindi ma anche del nostro respiro e dei nostri processi mentali. In definitiva, grazie in particolare alla pratica di Hatha Yoga, la nostra Coscienza può aiutarci a riappropriarci del nostro "essere" in molte delle sue manifestazioni energetiche, per accompagnarci ed indicarci la direzione verso le sue manifestazioni più sottili e "spirituali".


Ma come si realizza tutto ciò?

Come qualsiasi cosa materiale e che parte dal corpo (come è prerogativa dell'Hatha Yoga) per quanto sottile che sia si può interagire anche con la Coscienza in maniere molto differenti. Un esempio per tutti: la Coscienza del nostro pollice che pulsa dopo essere stato inavvertitamente schiacciato da un colpo di martello è fondamentalmente diversa dalla Coscienza che possiamo avere del nostro respiro quando, sdraiati in una spiaggia solitaria, durante le meritate vacanze, ci rilassiamo privi di ogni preoccupazione.


Sta a noi, con la nostra ferma intenzione, scegliere come interagire con le nostre sensazioni, consapevoli del fatto che lasciando carta bianca al nostro Ego, permettendogli di nutrirsi delle sensazioni trasformandole in percezioni ce ne renderà inesorabilmente schiavi, esponendoci così alla sofferenza.


Infatti, osservando l'immagine posta all'inizio:


(*)

La vista (sensazione) raccoglie le informazioni sull'immagine. La mente elabora queste informazioni e ne trae delle conclusioni (percezione). Risultato? Percepiamo la linea orizzontale del disegno superiore più lunga della linea orizzontale del disegno inferiore. Ma le due linee sono esattamente uguali. La mente, responsabile della percezione, ha alterato l'oggettività della realtà. Ed il problema è che le nostre azioni nascono dalla percezione e non dalla sensazione.

Ed allora sul tappetino, durante la pratica di Hatha Yoga possiamo esercitare il nostro libero arbitrio e scegliere di appoggiare la nostra Coscienza alle varie sensazioni sempre presenti in noi (non si può scappare dalle sensazioni!) per esercitarla ad approfondire ad esempio la relazione con il "particolare", la singola parte, il "dettaglio" (che sia un muscolo contratto o esteso, un'articolazione vicina al suo limite, un legamento , un organo oppure un'idea fissa, un pensiero ricorrente e/o ossessivo o qualsiasi altra manifestazione percepibile del nostro essere) e recuperarne così la piena consapevolezza, non solo nei momenti in cui la singola parte è dolente, per poi, nell'evoluzione di questa attitudine, arrivare ad abbandonare il "particolare", il "locale" come pure l'ascolto distratto, abitudinario e superficiale delle sensazioni corporee a favore della "globalità" dell esperienza corporea, del corpo materiale come insieme integrato, non come collage di pezzi distinti.

Un percorso che, tramite la pratica, può portare la nostra Coscienza a sviluppare la qualità della relazione con le sensazioni, evolvendo lentamente da una Coscienza che si aggrappa alle sensazioni con la forza e la capacità di adesione di una colla estremamente adesiva che ci trattiene con un'intensità e resistenza nel tempo che vanno ben oltre il nostro volere, ad una Coscienza che, a prescindere dalla intensità delle sensazioni, si appoggia su di esse con la stessa leggerezza con cui la polvere si deposita su un mobile, e dal quale altrettanto leggermente, con un soffio, si solleva.


Certo non tutte le sensazioni potranno permettercelo (la martellata sulle dita, ad esempio) , ma sviluppare questa attenzione, questa attitudine ci permette di scoprire come, troppo spesso lasciamo libera la Coscienza di appiccicarsi e invischiarsi su sensazioni, pensieri, emozioni che una volta osservate oggettivamente non hanno ragione di trattenerci in quella misura.


Nel percorso verso gli stadi più evoluti del percorso yogico, come ad esempio la meditazione (dhyana) le sensazioni diventano quindi una palestra nella quale esercitare la nostra Coscienza, l'unica cosa che ci accompagna, immutata nel suo nucleo, dai primi istanti della nostra esistenza fino al momento in cui, volenti o nolenti, abbandoniamo questa esperienza terrena. Dedicarsi quindi alle sensazioni, così legate alla nostra materialità in perenne trasformazione, diviene un'opportunità per conoscere meglio proprio ciò che invece, nel tempo rimane immutato. Le sensazioni come strumento.


Già nella Bhagavad Gita uno dei manifesti della disciplina Yoga, il ruolo delle sensazioni è messo in grande evidenza (BhG canti II, III, V, VI), per poi diventare strumento operativo negli Yoga Sutra di Patanjali (Pat I,35) e, in virtù di questo, a mio parere, elemento su cui si fonda tanto la parte "grossolana" dell'Hatha Yoga, quella delle pratiche corporee, del pranayama, degli satkarman (pratiche igieniche), quanto quella più "sottile" delle mudra e dei

bandha.


Sensazioni quindi come strumenti per esercitare sopratutto il vairagya, ossia il prendere le distanze da ciò che stiamo vivendo nel presente (una impegnativa posizione corporea / asana, una accesa discussione, una malattia, un innamoramento, una delusione, un successo lavorativo, ...) ma senza voltare la testa oppure perderci completamente in ciò che ci si presenta, accogliendolo invece nella serenità, non importa quanto intense o leggere siano le sensazioni che accompagnano questi momenti, gioiosi o dolorosi che siano.


Educandoci così all'equanimità, la giusta distanza dalla Vita, per goderne appieno senza venirne travolti o rimanerne schiavi ma allo stesso tempo senza isolarci rifiutandola.




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