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Attitudine n.4: coltivare la non-scelta

Updated: May 9, 2020




Una vita "cristallina"? Anche no...


La particolare atmosfera che stiamo vivendo in queste ultimi mesi, dominati da incertezza, paure e profondi cambiamenti del nostro quotidiano porta, se considerata all'interno di un percorso yogico, a profonde riflessioni sulle basi stesse sulle quali ciascuno di noi ha costruito e appoggia l'intera esistenza. La famiglia, gli affetti, la salute, il lavoro, il tempo libero, le passioni,... tutto è rimesso in discussione dagli eventi di ogni giorno. Quando pensavamo di aver raggiunto una stabilità, delle certezze, delle sicurezze, ecco che la Vita, nella forma minima di un microscopico virus, rimette tutto in gioco, butta tutte le carte per aria. Ma la Vita è così, in perenne trasformazione, movimento ed evoluzione... solo che preferiamo illuderci che tutto sia stabile, invariato, cristallizzato nello stato che più ci soddisfa, illuderci che il mondo che ci circonda sia frutto della nostra presunta capacità di controllare l'ambiente in cui viviamo. Abhnivesha, l'ultimo dei 5 klesha (Yoga Sutra II, 9) ci ricorda che in questo trabocchetto ci cadiamo tutti, semplici e saggi, poveri e ricchi, qualsiasi appartenente al genere umano. Questa illusione di controllo, che ci espone continuamente al disagio, se non alla sofferenza, è intrinseca nella nostra umanità. Riconoscerla ed accettarla quindi è l'unica strada per andare oltre. Riconoscere l'illusione in quanto tale permette di dedicarci a scoprire da dove essa nasce ed ancora gli Yoga Sutra ci vengono in aiuto: abhnivesha nasce dal desiderio più o meno conscio di perseguire nel nostro quotidiano tanto la ricerca del piacere (raga) quanto la distanza dal disagio (dvesha). Questo desiderio (trishna, sanscrito: तृष्णा), sete) , qualora lasciato a guidarci sin dalla più tenera età, ci porta a cristallizzarci in gusti ed avversioni talmente radicati da portarci ad identificarci con esse, definendoci come individui.

Sono proprio le sensazioni, insieme alle esperienze che ce le hanno fatte provare e alle emozioni che le accompagnano, a scriversi dentro di noi, venendo catalogate in piacevoli (e quindi da ripetere), e dolorose (e quindi da evitare).

E' questo meccanismo di scelta e catalogazione, che avviene a nostra insaputa, a creare le basi di abhnivesha, la paura del cambiamento.

Nella nostra vita, condannata all'agire tanto dai desideri più umani e materiali (fame, sete, sesso, sonno) quanto da quelli più sottili (conoscenza, potere, ...), molte delle azioni che da questi desideri nascono, anche se apparentemente tutte diverse tra loro, altro non saranno che essere conseguenza di questo semplice meccanismo e le sensazioni che da tali azioni si ricaveranno contribuiranno solo a cristallizzare ulteriormente il nostro panorama interiore, in un circolo vizioso che porta l'Ego a strutturarsi come realtà concreta e dotata di autonomia.


Se lasciamo che sia questo il meccanismo che guida le nostre azioni nel quotidiano il risultato sarà inesorabilmente sempre lo stesso: la sofferenza (dukha). Se lasciamo a questo meccanismo la facoltà di scegliere per noi, siamo destinati a soffrire.


E di fronte a questo scenario apparentemente desolante, che sembra mettere in luce solo i limiti e la mancanza di prospettive di questa nostra umanità, cosa resta da fare? In assenza di consapevolezza di tutto ciò, nulla!


La consapevolezza di "non essere liberi in casa propria" è il punto di partenza. Senza di questo nulla è possibile ed il destino segnato. Ma una volta compreso intellettualmente tutto questo, ed una volta che tutto questo viene anche "esperito", sperimentato sulla nostra pelle attraverso la "pratica" Yoga, durante la quale si scopre come corpo, respiro e mente sfuggano il più delle volte alla nostra volontà, solo allora le nostre azioni potranno essere prese in carico da qualcos'altro.


Dalla non-scelta alla Scelta


Ma una intera esistenza fatta di giorni mesi ed anni a coltivare queste "abitudini", costruendo e rinforzando giorno dopo giorno questo meccanismo di "schiavitù" non può essere smantellato con una pratica "magica" che risolve istantaneamente tutti i problemi, ma solo dirigendo stabilmente l'intenzione in una direzione differente: ecco come nasce a mio parere un "percorso evolutivo" o realizzativo che dir si voglia.


Ed una direzione possibile, una delle tante da coltivare nella pratica dello Yoga è quella della non-scelta. Sottrarsi cioè, anche per il solo tempo della pratica, al gioco innato dello scegliere tra il "mi piace" e il "non mi piace", tra il "ce la faccio" e il "non sono capace", rinunciare ad esprimere un giudizio su ciò che stiamo sperimentando, immergendoci solo nel qui-ed-ora delle sensazioni, osservando con coscienza partecipativa le reazioni che tutto il nostro mondo interore presenta di fronte ad un lavoro dinamico del corpo oppure ad un asana statico, intenso, blando, inconsueto, conosciuto, prolungato, ripetuto, al limite delle nostre possibilità fisiche o facilmente accessibile alla nostra agilità o alle infinite sfumature che il lavoro corporeo consente.


E cosa potremmo incontrare, cominciando a viaggiare in questa direzione?


Prima di tutto la fatica, la resistenza che incontriamo nell'andare "contro" questa naturale pulsione dell'uomo. La scelta è cablata in noi, nella nostra umanità, ci è stata donata e nella sua espressione più alta diventa l'atto distintivo dell'intero genere umano, quel qualcosa in più, rispetto al resto del mondo animale, vegetale e minerale, che l'essere nati in forma umana ci offre: il "Libero Arbitrio". Questa facoltà prettamente umana è un dono e contemporaneamente una maledizione. Quante volte nella nostra vita avremmo voluto che non ci fosse chiesto di scegliere? Che tutto fosse prestabilito, al di là della nostra possibilità di interferire? Lo abbiamo voluto talmente tante volte da aver dimenticato di essere noi stessi i padroni della nostra esistenza; lo abbiamo voluto con tale convinzione che ciò che ci succede è molto spesso considerato colpa di altri, mai il risultato delle nostre scelte o delle nostre non-scelte. Il puntare il dito e l'attribuire le responsabilità fuori di noi è il risultato di una falsa non-scelta, è il risultato dell'aver rinunciato al dono che ci è stato concesso.

Ma la scelta è sempre li, tra "ciò che è giusto" ( il nostro dharma individuale, svadharma) e "ciò che è conveniente" (il nostro Ego).


... e dopo la fatica, nei rari momenti nei quali riusciamo a intuire la non-scelta, sperimentiamo il silenzio.

Nella pratica Yoga esercitiamo la nostra possibilità di "non-scegliere" come strategia per disinnescare gli automatismi dell'Ego, del "ciò che conviene". Non-scegliendo, priviamo l'Ego del suo giocattolo e ne osserviamo le reazioni.

Disorientamento e poi il silenzio. Il silenzio del corpo, il silenzio del respiro, il silenzio della mente. Ed è in questo silenzio, questo "nirodha" temporaneo, questa sospensione di qualcosa che, senza questa non-scelta non avrebbe mai tregua, che si creano gli spazi per la Scelta. La Scelta di "ciò che è giusto", l'azione pura che nasce dal silenzio, non dalla ragione.


Coltivare la non-scelta è, nella pratica Yoga, rendersi accoglienti al silenzio.


Coltivare la non-scelta è, nella vita, lasciare che la legge universale, il Dharma, possa manifestarsi attraverso di noi (svadharma) senza ostacoli e condizionamenti, utilizzando la nostra umanità e materialità come strumento.


Rispolverando Jean Klein: "... ciò che nasce dall'Ego è reazione, ciò che nasce dal silenzio è creazione".


E chi l'avrebbe mai detto che il non fare nulla fosse così impegnativo? Attitudine mica da ridere, no?






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