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Attitudine n.5: dal dettaglio alla globalità




Un'altra metafora

Nella visione meccanicistica dell'Universo, visto come uno spettacolare meccanismo di straordinaria complessità, un complesso, perfetto e finemente ricamato orologio progettato e costruito da chissà quale geniale Mastro Orologiaio, due sono le possibili modalità di osservazione di tutto ciò: la visione globale della bellezza e funzionalità dell'intero meccanismo, oppure l'osservazione di quella porzione di meccanismo con la quale i nostri sensi entrano in contatto e della quale in qualche maniera, grazie alla nostra intelligenza, intuiamo la funzione: la molla di carica, gli ingranaggi per muovere le lancette di ore e minuti, il meccanismo di oscillazione che scandisce il tempo, il calendario perpetuo, ....


La complessità intimidisce il nostro intelletto, laddove invece la comprensione del funzionamento anche di una sola delle sue parti ci rassicura, grazie al movimento noto e prevedibile di questa porzione del meccanismo alla quale lasceremo il compito di scandire il nostro tempo.

I più arditi tra noi, concentrati su questa visione parziale, giungeranno a comprenderne ogni segreto fino al punto, per i più dotati, di arrivare a riprodurne in una copia le singole parti per giungere eventualmente alla capacità di sostituirne addirittura qualche pezzo nella porzione del meccanismo originario in caso di usura o malfunzionamento.


Ma se questo può anche avvenire (come è avvenuto, essendo l'orologio una creazione umana) per un meccanismo complesso come un orologio meccanico ( oppure, con una metafora più contemporanea, per un tablet o uno smartphone), come possiamo porci di fronte all'infinita complessita dell'esistenza dell'uomo?

Tranne che per pochi "eletti" o meglio "risvegliati" che "hanno aperto gli occhi dopo un lungo sonno", per tutti noi, malgrado i nostri sforzi, qualcosa sfuggirà sempre alla comprensione di tale complessità: perchè succede questo? ...e quest'altro? Perchè ci facciamo reciprocramente del male? Perchè gioiamo? Perchè soffriamo? Qual'è il mio ruolo all'interno di questo immenso meccanismo? E da dove arriva poi tutto questo?


Un sottile disagio permea così le nostre vite, tanto di coloro che si sono addentrati nel percorso di conoscenza, quanto in coloro che, di quando in quando, non si riconoscono in quel monotono e ineludibile ticchettio che scandisce le loro vite, come pure in tutti coloro che, "addormentati", vivono la loro esistenza in totale balia dei meccanismi che li circondano.


Molto spesso per tutti noi la vita si risolve all'interno di uno scenario simile, attraversando cioè momenti di gioia e profonda sintonia con il ticchettio che ci circonda come pure momenti di forte mancanza di sincrono con ciò che accade vicino a noi.


Sarà sempre così, vita dopo vita, fino a quando saremo in grado, per nostra volontà ma anche per un intervento esterno, di vedere il meccanismo nel quale siamo immersi in una prospettiva più ampia.

Solo così potremo comprendere veramente ciò che avevamo in realtà solo intuito sul funzionamento della nostra piccola porzione di meccanismo. Solo allora, osservando la perfetta armonia del meccanismo, intuiremo l'esistenza del Grande Orologiaio. E solo allora impareremo a riconoscere e ad accettare profondamente tutto ciò che la nostra limitata capacità di esseri umani non ci consente di comprendere di questo immenso meccanismo. Ed accettando la nostra limitatezza, ecco che quel disagio sottile e strisciante che molto spesso accompagna le nostre vite si potrà finalmente dissolvere, lasciandoci liberi di vivere com maggiore serenità.


Forse non arriveremo mai a cogliere la grandezza dell'intero meccanismo, ma anche solo sviluppare la consapevolezza di esserne immersi in una sua parte è enormemente liberatorio.


Ecco perchè lo Yoga, ecco perchè l'Hatha Yoga, ecco perchè la pratica degli asana e del pranayama, ecco perché la meditazione.


Lo Yoga: accettare il dettaglio, coltivare la globalità

Partendo dal nostro piccolo dettaglio, dalla piccolezza del meccanismo che è la nostra vita quando è confrontato con il meccanismo della infinitamente complessa Vita arriviamo a scoprire di essere a nostra volta formati da altre minuscole parti con le quali di volta in volta ci identifichiamo: al lavoro siamo la nostra mente, con gli amici siamo i buontemponi, in famiglia siamo l'autorità, a tavola siamo gli intenditori o i divoratori compulsivi, in palestra degli atleti, nel sesso degli spacconi o dei frustrati, oppure siamo la malattia che ci accompagna da tempo, il lutto di una perdita, il sogno rincorso tutta la vita, la disillusione di una relazione finita male, .....


Il nostro Ego è così, si nutre dei dettagli, degli aspetti limitati delle nostre vite. Infatti il dettaglio, il particolare, lo specifico, il limitato ci rassicurano nella loro prevedibilità e la nostra interiorità si aggrappa a questi e a tanti altri piccoli dettagli per costruire le sue certezze, quelle che ci consentono di avere quella che è in realtà solo una illusione di controllo. Il nostro Ego si nutre proprio di questo: tanti piccoli dettagli che ci fanno sentire tranquilli, anche quando questi dettagli non sono propriamente piacevoli o positivi per noi. Le nostre abitudini, belle o brutte che siano nascono proprio così.


Nel Kriya Yoga di Patanjali (Yoga Sutra II,1) il tapas (l'impegno ardente)e svadhyaya (lo studio di sé e dei testi) possono essere considerati come l'impegno a conformarsi al grande meccanismo dell'Universo, ripristinando in primis in noi l'armonia con le leggi che lo regolano.

Come? Cercando di rimuovere, attraverso la pratica fisica e concreta su corpo (asana), respiro (pranayama) e mente (dharana e dhyana), tutti gli ostacoli che si frappongono tra la nostra esistenza ed il fluire dell'Universo in noi: alimentazione inadatta, abitudini posturali sbagliate, processi mentali ripetitivi e compulsivi, automatismi e condizionamenti sociali nocivi, relazioni che ci appesantiscono, ...

Tutto questo può avvenire solo se rinunciamo al particolare, all'osservazione ossessiva del dettaglio come tentativo disperato di comprendere. Non sarà praticando asana secondo le conoscenze di anatomia e fisiologia che preserveremo il nostro corpo dal degrado e dall'invecchiamento. Non sarà stirando un muscolo o mobilizzando un'articolazione che comprenderemo. Sarà solo praticando gli asana per recuperare una consapevolezza "corporea" più ampia della singola articolazione dolorante, del muscolo acciaccato o del pensiero ossessivo/compulsivo che qualcosa si libererà in noi. Sarà solo immergendosi nel silenzio del nostro respiro rarefatto da asana e pranayama che sperimenteremo il nostro essere come un intero che pulsa e non un insieme frammentato. Sarà rimanendo nell'immobilità spontanea di corpo, respiro e mente che sperimenteremo il dissolversi dei nostri confini individuali e riconosceremo l'"altro" non come una minaccia ma parte da accogliere.

Privi di interesse per il particolare, con il quale ad ogni modo prima ( e questo è quello che io chiamo anche pre-Yoga) dovremo aver recuperato una relazione pacificata, e lasciando che tutta la conoscenza intellettuale accumulata in un'intera esistenza vissuta "nel dettaglio" non interferisca, rimaniamo in ascolto "attivo" ma non giudicante, con una coscienza partecipativa di tutto ciò che avviene nel nostro corpo, nei nostri respiri e nei nostri processi mentali. Lasciamo il grande meccanismo libero di agire anche sul nostro piccolo particolare, senza frapporre resistenze ed ostacoli.

E nel nostro piccolo agire conosceremo così i nostri limiti, quelli fisici ma sopratutto quelli mentali, che sono ancora più invalidanti e allora forse comprenderemo che essi sono parte ineludibile della nostra umanità ed in quanto tale quindi condivisi con qualunque essere umano, anche con quel vicino di casa fastidioso che ha sempre da ridire, o con il capufficio sempre così astioso ed arrabbiato con il mondo e anche ( lo so che stò esagerando , eh :-)) da quel politico famoso che ne spara una dietro l'altra (scegliete voi il personaggio che più vi piace). Allora nel nostro "particolare" potrà nascere la vera "compassione", non la pietistica versione che si è culturalmente affermata in occidente ma karuna, la "simpatia verso coloro che soffrono". Allora forse percepiremo il nostro essere parte della globalità, il Tutto nel quale siamo immersi.


Nota: Naturalmente chi vuole può vedere all'interno di questa metafora meccanicistica la presenza di un "destino", come pure di una irrilevanza del nostro libero arbitrio, ma come già accennato in un'altra occasione, non bisogna mai confondere "la mappa" con il territorio, perchè a confonderli si rischia di farsi male. Ed in questi tempi di guida dell'auto con il "navigatore" penso sia un concetto molto chiaro a tutti.


Un abbraccio.

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